L’uso della figura del “nemico” per la soppressione di diritti fondamentali: risultato di uno squilibrio istituzionale che minaccia la democrazia in Brasile
Gabriela Shizue Soares de Araujo[1]
Artigo que faz parte da publicação Esperienze di tutela dei diritti fondamentali a confronto, do Seminario interno del Corso di Alta Formazione in Giustizia Costituzionale, 2018, Pisa. Esperienze di Tutela dei Diritti Fondamentali a Confronto. Pisa: Universitá di Pisa, 2018. v. 01. p. 57-66.
Da soli trenta anni, dopo un lungo e logorante periodo di dittatura militare e di violenta repressione alle libertà individuali, la società brasiliana è riuscita a pattuire una Costituzione prodiga in diritti e garanzie individuali e sociali, un bell’impegno democratico che seguiva la tendenza delle rigide Costituzioni istituite nell’Europa del dopoguerra, innalzando finalmente il Brasile ad uno stato Democratico di Diritto, appoggiato sui pilastri della separazione di poteri e della sovranità politica popolare, all’insegna della dignità della persona umana.
Ciò nonostante, la grande preoccupazione con l’estensione e la pietrificazione dei diritti fondamentali nel testo costituzionale pare non sia stata sufficiente per assicurare la sua perpetuità contro l’arbitrio statale e contro le onde momentanee di punizione e sottrazione di diritti, come sta succedendo in Brasile negli ultimi anni.
All’origine, questo fenomeno può essere attribuito all’errore dell’Assemblea Costituente del 1988 nel pensare con acuità alla nuova organizzazione di potere che si sarebbe instaurata in Brasile a partire da allora, quando ha importato frettolosamente istituti giuridico-politici statunitensi ed europei in un Paese sudamericano privo di esperienza democratica e segnato da forti tradizioni oligarchiche, schiaviste e colonialiste, dall’alto concentramento di redditi e dalla sperequazione.
Il presidenzialismo di coalizione, con tutta la sua vulnerabilità (o corruttibilità); il sistema elettorale proporzionale in lista aperta per coprire i posti vacanti del Legislativo; l’assenza di meccanismi efficaci di partecipazione popolare e resa dei conti dei mandatari eletti in complemento alla democrazia rappresentativa; il controllo misto di costituzionalità; la forma di nomina (dal Presidente della Repubblica) ed il carattere vitalizio delle cariche degli undici ministri del Supremo Tribunale Federale. Questi sono solo alcuni esempi di istituti adattati male alla realtà delle correlazioni di forze interne e che oggi possono spiegare la grave crisi istituzionale – o di separazione di poteri – che pesa sul Paese.
Pur sapendo che il potere Legislativo in tese deve rappresentare la volontà e la sovranità del popolo, che delega ai suoi rappresentanti democraticamente eletti la funzione di prescrivere e regolare condotte a cui accetterà repubblicanamente sottomettersi, le distorsioni sistemiche del nostro ordinamento politico-elettorale hanno generato un deficit democratico talmente grande che oltre a non identificarsi col parlamento eletto, il popolo comincia a sviluppare una vera e pericolosa avversione all’intera classe politica.
Se da una parte abbiamo parlamentari poco impegnati con le proposte presentate al loro elettorato durante il periodo di campagna, dall’atra abbiamo elettori che non riescono né a seguire e/o capire la burocrazia che interessa il processo legislativo (mancanza di trasparenza) e non hanno neanche l’opportunità di partecipare o impadronirsi dei loro diritti politici (assenza di meccanismi di democrazia diretta/partecipativa).
Oltre a questo, abbiamo un Potere Esecutivo generalmente ostaggio dei legami e delle alleanze imposte dal presidenzialismo di coalizione, che non di rado deve preoccuparsi piuttosto con le pressioni e con i compromessi firmati con i detentori del potere politico ed economico che con il proprio popolo che gli ha delegato il potere: se l’ascensione al potere avviene tramite il voto popolare, il suo mantenimento risponde ad interessi completamente contrari.
Basti, come esempio, l’impeachment della ex-presidente eletta il 2016 Dilma Roussef, la quale, nonostante gli oltre 54 milioni di voti legittimamente ricevuti nelle urne il 2014, non ha avuto la maggioranza in parlamento per sostenere il suo progetto di governo – basato sull’inclusione sociale –, paradossalmente in una vera dissonanza tra la volontà popolare che l’ha eletta e i supposti rappresentanti della volontà popolare eletti per comporre il Legislativo che l’hanno deposta, pur in assenza di alcuna motivazione di natura criminale o di improbità amministrativa che la screditasse. Tanto è vero che i suoi diritti politici non sono stati sottratti e Dilma Roussef può tuttora candidarsi a qualunque elezione.
D’altra parte, il presidente interino Michel Temer, seguendo un’agenda esattamente opposta a quella con la quale era teoricamente arrivato a vice di Dilma, nell’adottare proposte di sottrazione di diritti sociali e investire in politiche di austerità, riesce a mantenersi prolungatamente al potere, sfidando l’altissimo indice di disapprovazione (oltre il 82%[2]) e con ampio supporto parlamentare, pur accumulando due denunce-crimine presentate dal Pubblico Ministero l’anno scorso e altre investigazioni criminali in corso nel Supremo Tribunale Federale.
Un osservatore esterno potrebbe dire che tali dissonanze non reggerebbero senza il supporto dell’opinione pubblica. Ma il fatto è che in un Paese con poca e recente esperienza democratica come il Brasile, dove inesiste una sfera pubblica di discussione in cui il cittadino possa esercitare pienamente la sua libertà politica e partecipare alle prese di decisioni, l’informazione trasmessa dal media viene assorbita generalmente priva di un senso critico più approfondito, come fosse quasi una verità assoluta.
E considerando che in questo Paese cinque gruppi o i suoi proprietari individuali concentrano più della metà dei veicoli di comunicazione[3], oltre a risultare tra i più ricchi del Paese, il cittadino medio accederà soltanto all’informazione che i media monopolizzati saranno interessati a divulgare e nel modo a loro più conveniente, poiché non vi è una regolamentazione che democratizzi l’uso dei media in Brasile e che gli imponga delle responsabilità riguardo alla manipolazione delle informazioni.
Di conseguenza, l’opinione pubblica in Brasile equivale praticamente all’opinione pubblicata, il che, chiaramente, contribuisce alla crisi istituzionale brasiliana, nella misura in cui il potere economico rappresentato da questo distinto gruppo che detiene il monopolio dei media si allinea all’agenda neoliberale internazionale, per la quale la rigidità nella difesa dei diritti fondamentali, come prevede la Costituzione del 1988, si presenta come un ostacolo.
Approfittandosi dell’indebolimento dei poteri democraticamente eletti che dovrebbero fare da pilastri alla volontà popolare, e, pertanto, approfittandosi dell’indebolimento della propria sovranità politica popolare, le correlazioni di forze economiche allineate alle politiche neoliberali hanno cominciato a investire nel binomio media di massa e Potere Giudiziario, l’unico dei poteri i cui agenti non sono scelti dal voto popolare.
All’interno della logica della separazione di poteri, il potere Giudiziario sarebbe, in tese, il più debole e burocratico di tutti, con la semplice funzione di applicare e interpretare (in modo fondamentato) le leggi già poste - dal potere Legislativo, rappresentante della sovranità popolare - ai casi concreti, e questo soltanto quando provocato per la soluzione di conflitti tra i soggetti di diritti. O, ancora, via il controllo di costituzionalità, rappresentato, in ultima istanza, dal Supremo Tribunale Federale, dovrebbe agire da custode massimo della Costituzione Federale e della rigidità delle sue norme, soprattutto contro l’opinione pubblica maggioritaria di occasione e sempre a difesa e protezione dei diritti fondamentali e della dignità della persona umana, come corollario di uno Stato Democratico di Diritto.
Però, ciò che stiamo vedendo da anni (e non da adesso) è un attivismo giudiziale crescente e sempre di più accelerato, iniziato dall’intervenzione del Potere Giudiziario sui fatti dell’Esecutivo, sia nell’affermazione che nella repressione di politiche o diritti sociali, a seconda del caso e del volontarismo di ogni magistrato; e che ha raggiunto il suo apice con la totale usurpazione delle funzioni del Potere Legislativo, protagonizzato soprattutto dal Supremo Tribunale Federale, che solitamente segrega, cambia, crea nuove legislazioni nelle più diverse materie, con mosse ermeneutiche completamente incompatibili con le sue attribuzioni costituzionali.
Tali esercizi di creazione legislativa han fatto leva sulla relativa condiscendenza della comunità giuridica, quando utilizzati inizialmente per espandere i diritti fondamentali, ma attualmente le attuazioni di alcuni dei principali rappresentanti del Potere Giudiziario si fanno guidare da un “populismo giudiziale”, che sotto le luci delle trasmissioni dal vivo del canale televisivo del Supremo Tribunale Federale, TV Justiça, o della copertura glamourizzata del canale televisivo[4] che detiene il dominio di pubblico nel Paese, essi si adoperano alla soppressione e alla violazione di diritti fondamentali, sacrificando, tra l’altro, il principio della separazione di poteri e la sovranità popolare.
Non costa ricordare che queste onde di odio e questi spettacoli di linciaggio pubblico, sempre con la scelta di un “nemico” comune da combattere dalle “persone per bene”, sono tecniche utilizzate dalle correlazioni di forze politico-economiche dominanti per distrarre le masse dai reali problemi sociali ed evitare che l’individuo eserciti i propri diritti, a cui accetta rinunciare in cambio di questo perverso piacere di punire l’altro, il “nemico”, la personificazione di tutte le sue frustrazioni.
Fu così, con l’applauso e l’attenzione delle masse, che i gladiatori combatterono fino alla morte nelle arene romane; così furono crocefissi Gesù Cristo e gli apostoli; così si svolsero i “processi” dell’Inquisizione che sentenziarono al rogo le “streghe” e i “processi” che portarono alla ghigliottina i monarchisti e posteriormente i rivoluzionari francesi; così avanzarono pure i genocidi commessi dai regimi totalitaristi nazisti e fascisti nella prima metà del secolo XX.
Attualmente, alla luce del secolo XXI, il popolo brasiliano applaude la flessibilizzazione dei suoi diritti fondamentali e la violazione delle sue libertà, così duramente conquistate, in cambio del piacere perverso di veder soccombere quei politici e impresari scelti selettivamente dal media monopolizzato allo spettacolo che il sistema di giustizia penale si adopera a protagonizzare.
In questo senso, il recente arresto dell’ex-presidente Luiz Inácio Lula da Silva, a scapito di tutte le irregolarità che coinvolgono la spettacolarizzazione del processo politico-mediatico che caratterizza ormai l’operazione Lava-Jato in Brasile[5], può essere servito come strumento per la soppressione di una delle garanzie più care alle libertà individuali dell’intero popolo brasiliano: la presunzione di innocenza.
La garanzia della presunzione di innocenza è prevista nell’articolo 5º, inciso LVII, della Costituzione Federale, che dispone testualmente: “nessuno sarà considerato colpevole fino al passaggio in giudicato della sentenza penale condannatoria”. Tale diritto-garanzia è doppiamente protetto: (i) contro l’arbitrio del Potere Giudiziario, che non può restringere il diritto fondamentale via mutazione costituzionale, e (ii) anche contro l’arbitrio del Potere Legislativo, poiché la Costituzione Federale, nell’articolo 60, §4º, inciso IV, dispone espressamente che non sarà oggetto di deliberazione la proposta di emendamento che tenda ad abolire i diritti e le garanzie individuali[6].
Oltre a questo, nel 2011, a soli 7 anni, pertanto, il potere Legislativo, nella redazione dell’articolo 283 del Codice di Processo Penale, ha rinforzato il rispetto e la preoccupazione della volontà popolare con la protezione della garanzia della presunzione di innocenza al disporre espressamente che: “nessuno potrà essere arrestato sennò in flagrante delitto o per ordine scritto e fondamentato dell’autorità giudiziaria competente, in decorrenza di sentenza condannatoria passata in giudicato o, nel corso dell’investigazione o del processo, in virtù di arresto temporaneo o arresto preventivo”[7].
In verità, non ci vorrebbe neanche questo rinforzo nell’articolo 283 del Codice di Processo Penale, poiché, dalla letteralità del testo costituzionale che tratta della presunzione di innocenza, il ragionamento logico, deduttivo e ovvio e che dispensa ulteriori esercizi ermeneutici è assai semplice: finché ci sarà un ricorso da valutare dal potere Giudiziario, non si deve presumere la colpa dell’imputato e, se non si può presumere la sua culpa, non si può altrettanto applicare la pena da essa decorrente.
Questa cautela, dinnanzi allo storico degli Stati totalitari e dei regimi dispotici del passato, serve ad evitare che un’innocente venga sottomesso alla peggiore delle pene che uno possa subire nel sistema penale costituzionale brasiliano: la privazione della sua libertà. La libertà è un bene così caro alla dignità della persona umana – vettore ambito da tutti gli Stati Democratici di Diritto –, che nemmeno un solo giorno ingiustamente privato a qualcuno potrà essere mai risarcito o rimesso[8].
Dal 2016, a proposito, attendono sentenza nello stesso Supremo Tribunale Federale due Azioni Dichiaratorie di Costituzionalità (ADC nº 43 e 44), una proposta dal Consiglio Federale della OAB, l’altra, dal Partito Ecologico Nazionale (PEN), il cui obiettivo è giustamente la dichiarazione di costituzionalità dell’articolo 283 del Codice di Processo Penale, visto che è perfettamente conforme all’articolo 5º, inciso LVII, della Costituzione Federale.
Sempre del 2016 è pure il processo di Habeas Corpus (HC nº 126.292) del Supremo Tribunale Federale in cui, deliberando sulla materia in quel caso individuale dell’HC, si è stabilito un precedente che autorizzava diversi tribunali del Paese a iniziare a relativizzare la garanzia costituzionale della presunzione di innocenza basandosi sul fatto che la mera condanna alla pena privativa di libertà da un tribunale in seconda istanza, ossia, dai Tribunali di Giustizia e dai Tribunali Regionali Federali, sarebbe sufficiente per iniziare ad esecutare automaticamente lo sconto della pena di arresto, nonostante l’esistenza di ricorsi in attesa di sentenza nei tribunali superiori (STJ e STF).
Conforme alle informazioni dal Diffensore Pubblico dello Stato di São Paulo, dal preoccupante precedente stabilito dal STF nella sentenza dell’HC 126.992 nel 2016 fino all’inizio del 2018, più di 13.887 accordi del Tribunale di Giustizia dello Stato di São Paulo hanno determinato lo sconto anticipato (o automatico) di pene di arresto, ignorando le evidenze presentate dal Diffensore Pubblico stesso, che attestano che almeno 50% dei casi di arresto in secondo grado sono posteriormente annullati al Superiore Tribunale di Giustizia tramite Habeas Corpus.
Il processo delle ADC potrebbe risolvere una volta per tutte questa materia di ordine costituzionale, la quale, in palese violazione della presunzione di innocenza, affolla da due anni il sistema carcerario con migliaia di persone che scontano anticipatamente le loro pene – tra cui molte indebitamente.
Ciò nonostante, il presidente del Supremo Tribunale Federale, il ministro Carmen Lucia, ha optato prima per mettere all'ordine del giorno il processo dell’Habeas Corpus nº 152.752, impetrato dall’ex-presidente Luiz Inácio Lula da Silva, in detrimento delle Azioni Dichiaratori di Costituzionalità, contando sulla personalizzazione del tema, la cui importanza globale si è dissipata sotto la bipolarizzazione politica in cui si trova il Paese.
Così, il 04 aprile 2018, con ampia copertura mediatica e trasmissione dal vivo del processo dell’Habeas Corpus nº 152.725 su rete nazionale, si è visto un deludente spettacolo di populismo giudiziale in alcuni degli interventi di ministri del Supremo Tribunale Federale, i quali, oltre ad aver respinto il ricorso proposto dall’ex-presidente[9], poco hanno trattato della legalità e costituzionalità del tema principale in discussione, la presunzione di innocenza, ma non si sono trattenuti affatto quanto ad apologie morali o, ancor peggio, moraliste, e ad inveire contro la classe politica.
E come se non deviassero dalle loro funzioni, essi, detentori di un potere a vita non conferito dal voto popolare[10] e nominati appunto per il ruolo di resistenza contro-maggioritaria in difesa del testo costituzionale, cambiano contrariamente per il ruolo di usurpatori delle funzioni degli altri poteri (legittimamente eletti), mentre sopprimono, a loro piacimento e convenienza, le libertà e le garanzie individuali appartenenti a tutti i cittadini brasiliani, il tutto a nome dello spettacolo mediatico che è diventata la loro attuazione.
In questo senso, vale notare che il Brasile è stato il primo Paese a trasmettere integralmente e dal vivo le decisioni della Suprema Corte (a cominciare dal processo dell’Azione Penale 470), ed è l’unico Paese che trasmette il processo di azoni di materia penale, esponendo e violando la dignità degli imputati, in evidente affronto al principio della presunzione di innocenza e a tanti altri diritti fondamentali.
Si aggiunga a questo, a mero titolo di esempio, il deliberato passaggio di informazioni in tempo reale alla stampa su operazioni di polizia e giudiziali, la divulgazione ai media di registrazioni telefoniche (persino del presidente della Repubblica in carica), interviste e opinioni dei magistrati su processi sotto la loro responsabilità, ecc., il che aggrava questa contaminazione delle decisioni giudiziali a causa della parzialità dello spettacolo pubblico a cui si sottomettono.
Lula, pertanto, è stato soltanto uno strumento, un altro rappresentante di un’infima percentuale di politici e impresari usati, sin dall’Azione Penale 470 (Mensalão), fino alle altre operazioni di polizia, giudiziali e mediatiche come la Lava Jato, per legittimare la sottrazione e la soppressione di diritti e libertà individuali, sotto la scusa della “giustizia a tutti”, ma che, in ultima analisi, e come effetto domino, colpisce predominantemente il popolo povero, nero e della periferia.
Questo sì, l’eterno nemico, “l’indesiderato” dalle classi dominanti che, sotto la logica neoliberale, che non favorisce il consumo dell’intera forza di lavoro eccedente, esplorando sempre le premesse del lucro massimo e Stato minimo, vede nell’incarceramento di massa un affare assai redditizio.
L’impeachment della ex-presidente Dilma Rousseff ha causato una grande crepa nello sviluppo democratico del Brasile quando ha messo in dubbio l’unica risorsa per la partecipazione politica che il cittadino comune, fino a quel momento, reputava come inderogabile ed assoluta: il voto, la massima espressione della sovranità della volontà popolare.
Come si può vedere dalla lettura di assolutamente tutte le indagini di intenzioni di voto realizzate nel primo semestre del 2018, per le elezioni presidenziali post-impeachment si registra un movimento di ripresa, da parte del popolo brasiliano, di quel progetto di Paese che aveva vinto nelle urne nel 2014, ossia, la volontà popolare non ha riconosciuto come legittimo il “colpo” parlamentare che ha destituito Dilma e vuole riconquistare, sempre nelle urne, il suo potere sovrano di decidere le strade del Paese.
In questo contesto, l’ex-presidente Luiz Inácio Lula della Silva, seppur arbitrariamente incarcerato, domina ampiamente la corsa presidenziale, con la prospettiva di vittoria ancora nel primo turno delle elezioni del 2018.
Ad ogni modo, la violazione del principio della presunzione di innocenza che ha colpito l’ex-presidente Lula nella sfera penale può farlo altrettanto nell’ambito elettorale: una legge infracostituzionale validata dal Supremo Tribunale Federale ritiene ineleggibili i candidati con condanne criminali proferite da organi collegiati, anche in presenza di ricorsi pendenti.
Contrariando i patti internazionali di diritti civile e politici di cui il Brasile è firmatario e le più recenti decisioni della Corte Interamericana di Diritti Umani, ci sono già state dichiarazioni anticipate da parte del ministro del Tribunale Superiore Elettorale annunciando la negativa di registro della candidatura del presidente che il popolo brasiliano vuole eleggere nelle urne. Il controllo di convenzionalità è uno strumento completamente sconosciuto dalle corti brasiliane.
Finché si avrà questo grande squilibrio istituzionale nel Paese, finché il popolo non si sarà impadronito del suo potere sovrano, legittimando i suoi rappresentanti eletti, e finché i diritti fondamentali non saranno veramente incorporati da coloro a cui si destinano, il Brasile rimarrà sgovernato ed in preda alle correlazioni di forze economiche che sfruttano i media e il sistema di giustizia burocratico per usurpare il potere del popolo: non si tratta, quindi, di un’esagerazione affermare che stiamo forse arrivando in un nuovo tipo di dittatura, la dittatura della toga.
[1] Master in Diritto Costituzionale e Dottorato in corso alla Pontificia Università Cattolica di São Paulo (PUC-SP). Professoressa di Diritto Costituzionale alla Scuola Paulista di Diritto (EPD). Avvocato a São Paulo.
[2] Vedi i dati qui: https://exame.abril.com.br/brasil/com-82-de-rejeicao-temer-se-torna-presidente-mais-impopular-da-historia/
[3] Cinque famiglie controllano la metà dei cinquanta veicoli di comunicazione con maggior pubblico in Brasile, conforme ai dati ottenuti dalla ricerca Monitoraggio della Proprietà dei Media (Media Ownership Monitor - MOM), finanziata dal governo della Germania e realizzata insieme alla ONG brasiliana Intervozes e a Repórteres Sem Fronteiras (RSF), con sede in Francia. Vedi i dati dell’organizzazione Repórter Sem Fronteiras sul Brasile qui https://rsf.org/en/brazil e qui http://brazil.mom-rsf.org/br/proprietarios/
[4] Secondo la già menzionata ricerca di Monitoraggio della Proprietà dei Media (Media Ownership Monitor - MOM), il Gruppo Globo, della famiglia Marinho, detiene nove dei cinquanta maggiori veicoli, con un pubblico superiore a quello complessivo del secondo, terzo, quarto e quinto maggiori gruppi brasiliani messi insieme. Vedi il sito elettronico http://brazil.mom-rsf.org/br/destaques/concentracao/
[5] Ho già scritto sul processo in un libro della Editora Clacso, disponibile in spagnolo all’indirizzo: http://biblioteca.clacso.edu.ar/clacso/se/20180406015923/Comentarios_la_una_sentencia_anunicada.pdf
[6] Ossia, la garanzia che nessuno sarà considerato colpevole fino al passaggio in giudicato della sentenza penale condannatoria è stata definita clausola ferrea nella Costituzione Federale e potrà essere soppressa solo con la convocazione di una nuova Assemblea Costituente o la promulgazione di una nuova Costituzione.
[7] Ciò significa che, tranne gli arresti temporanei o preventivi, che devono essere fondamentati dal giudice e avvengono di solito nei casi in cui l’imputato rappresenti dei rischi alla pubblica sicurezza o al processo, caso attenda la sentenza di ogni ricorso in libertà, negli altri casi, l’arresto potrà avvenire soltanto dopo l’esaurimento di ogni ricorso legale a cui ha diritto l’imputato.
[8] Vedi, come esempio, il triste suicidio del ex-rettore dell’Università Federale di Santa Catarina, Luiz Carlos Cancellier. Avvocato e professore sessantenne, con post-dottorato in Diritto e molto rispettato nell’ambiente academico, Cancellier ha assunto la carica alla UFSC nel maggio 2016 e si è suicidato il 02 ottobre di 2017, mettendo fine ad un lungo e logorante periodo di stress emotivo, morale e lavorativo causato dalla congiunzione di abusi delle autorità e del loro rapporto promiscuo con il media e che lo hanno messo in galera, anche se solo per un giorno.
Accusato dalla Polizia Federale di aver provato ad ostacolare le investigazioni dell’operazione “Ouvidos Moucos”, deflagrata nel 2014 a causa di supposte tangenti, avvenute nelle gestioni precedenti, in un programma di formazione a distanza, il rettore ha avuto l’arresto decretato senza essere stato intimato nemmeno una volta per i dovuti chiarimenti, e, da come si è dimostrato in seguito, esclusivamente per aver voluto consultare un processo amministrativo interno.
Seppur nel rispetto dei tramiti ordinari delle funzioni e competenze amministrative comuni ad un rettore e gestore, questo tentativo di accesso ad un processo amministrativo interno è stato interpretato come ostruzione alla giustizia, e Cancellier, che non era né investigato e tantomeno era stato denunciato nell’indagine della Polizia Federale, ha avuto l’arresto decretato e rilasciato il giorno seguente.
Oltre all’allarmante esposizione mediatica che ha segnato l’intera operazione, comandata da un’agente federale ex-integrante della squadra speciale dell’operazione Lava Jato, a Curitiba, da dove ha importato il suo arbitrario modus operandi, movimentando oltre un centinaio di poliziotti (venuti anche da altre città del Paese) ad un costo assolutamente spropositato rispetto a quello oggetto del processo, il giudice responsabile del processo, imponendo un ulteriore e amaro imbarazzo al già derelitto rettore, lo ha allontanato dalle sue funzioni ed ha vietato il suo ingresso nel campus della UFSC.
Le arbitrarietà, però, non si fermano qui. A seguito delle varie manifestazioni in favore del mancato rettore organizzate da studenti, professori e accademici in tutte le università del Brasile, la Polizia Federale ha aperto un’indagine per investigare il professore di giornalismo della UFSC Aureo Mafra di Moraes, capo di gabinetto del rettore, accusato di attentato all’onore dell’agente di polizia che aveva condotto l’operazione a causa di un’intervista alla TV UFSC, dell’università stessa, in cui esso aveva soltanto lamentato gli abusi del sistema di giustizia penale commessi contro il rettore e che lo avevano portato al suicidio, senza aver mai nominato l’agente.
Come sintomi dell’autoritarismo e del mancato controllo delle istituzioni burocratiche a capo del sistema di giustizia penale brasiliano, alla stessa ed impressionante velocità con cui l’indagine interno aperto dalla polizia ha esentato le responsabilità dei poliziotti per gli abusi commessi, un comune cittadino è stato perseguitato per aver solo osato manifestarsi pubblicamente contro la violenza e la spropositata azione della polizia.
[9] Anche se il STF ha deciso per 6 voti contro 5 per l’autorizzazione dell’arresto di persone con condanna in seconda istanza, a scapito dei ricorsi di processo pendenti, al respingere l’ordine nell’HC 152.752 impetrato dall’ex-presidente Lula, è degna di nota la chiarezza degli argomenti giuridici del Decano della Corte, il ministro Celso de Mello, al difendere l’inviolabilità del principio della presunzione di innocenza.
[10] Considerando la forma di composizione della nostra Corte, nominata dai Presidenti della Repubblica e con un dibattito “pro forma” del Senato, ci siamo trovati dinnanzi ad una sovversione dei valori democratici, con un governo condotto indirettamente da un’assemblea di undici ministri, messa lì a vita, senza la partecipazione popolare, ma sempre con l’ultima parola nelle principali decisioni e risoluzioni della società.